Il Mollificio Astigiano: efficienza energetica, storia e industria

Intervista all’architetto Elena Ivaldi, dello studio I.E.F.I. S.r.l.

Nello splendido panorama dei vigneti del Monferrato astigiano, trova sede il Mollificio Astigiano, eccellente realtà meccanica specializzata della progettazione e realizzazione di molle per qualunque ambito, dall’agricoltura all’industria, dall’allestimento dei vigneti al mondo aerospaziale.

Nel comune di Belveglio, in provincia di Asti, il Mollificio è stato oggetto di due interessanti interventi: il riassetto urbanistico e ampliamento architettonico nel 2015-2017 e la riqualificazione architettonica ed energetica della sede storica con un secondo ampliamento del 2019-2024.

Il primo intervento riguarda il piano urbanistico e la progettazione del nuovo stabilimento, ampliando gli spazi dell’azienda. Ne abbiamo parlato con l’architetto Elena Ivaldi, responsabile del progetto, che ci ha raccontato la storia di questo interessante progetto.

 

Siamo abituati a quartieri industriali in cui si susseguono capannoni dopo capannoni. Quale è stata la sfida principale per potere soddisfare il bisogno di nuovi spazi ma allo stesso tempo dimostrare sensibilità e delicatezza rispetto al panorama circostante?

“Mi trovai ad avere l’opportunità di lavorare su un’area produttiva di fondo valle, di piccole dimensioni, immersa nelle colline patrimonio Unesco e totalmente di proprietà della committenza; ma, la distribuzione degli spazi era una lingua lungo la strada Provinciale, con una indicazione pubblica di dismissione delle aree a servizi, che ne diminuiva ulteriormente la profondità, e ne penalizzava l’uso sia privato che pubblico.

La nostra idea è stata di proporre all’Amministrazione e alla Provincia una ridistribuzione urbanistica delle aree edificabili, rispetto alle aree pubbliche a servizi, in modo da salvaguardare e ottimizzare entrambe, per la rispettiva fruizione, aggiungendo un accesso alla Provinciale.

Ritengo fondamentale, per la riuscita del progetto architettonico e funzionale, fare un passo indietro e ottimizzare urbanisticamente il sito, sia all’interno delle visuali paesaggistiche principali, sia, per quanto possibile, all’interno delle morfologie delle linee di spiccato esistenti e, soprattutto, secondo i principi della bioclimatica. “

 

Più recente è invece l’intervento di riqualificare la sede storica del 1996. Quali caratteristiche presentava l’edificio e quali criticità? Cosa è stato fatto per armonizzare l’edificio ristrutturato con ciò che era stato costruito in precedenza?

“Inizialmente la committenza, che, da sempre definisco “illuminata”, mi chiese di ridisegnare il “vecchio” in modo da conferirgli la stessa identità e dignità del “nuovo”, ma senza prevaricarlo; i clienti, arrivando dalla Provinciale, da qualunque verso, avrebbero dovuto leggere la stessa azienda e poi, essere portati ad arrivare nella sede principale.

Lo stabilimento del 2017, essendo di nuovo impianto, mi consentì di lavorare con la massima libertà espressiva; l’intera copertura del capannone prefabbricato è centinata, a simulare le tipiche dolci colline del Monferrato, essa crea un cornicione in aggetto, che ne diminuisce la percezione dell’altezza e offre il fissaggio ad una struttura lignea a verde verticale. La differenziazione degli usi interni, mi diede l’opportunità di creare un’ampia loggia e terrazza a sbalzo sui campi a sud, a fruizione della residenza dei committenti e ampie vetrate a tutta altezza per la zona produttiva, in modo che i dipendenti potessero lavorare godendosi le visuali esterne collinari e agresti.

Ora invece, avrei dovuto lavorare su un cubo prefabbricato di graniglia 50x20 x7 metri di altezza, con la classica pensilina sul retro, dal tono un po’ triste.

Mi sono concentrata sulla visuale principale sulla strada Provinciale, quella che da Cortiglione d’Asti porta a Belveglio e che fa cogliere entrambe i capannoni in modo prospettico. La testata centinata del capannone 2017, la prima ad identificare il Mollificio, sarebbe dovuta diventare il trait d’union tra i due fabbricati.

Da lì, si è sviluppato tutto il progetto, che in realtà, è ancora in corso, per la realizzazione della schermatura degli impianti esistenti, visibili arrivando da Belveglio, che a breve troverà realizzazione.”

Siamo stati colpiti dall’aspetto del nuovo capannone e l’architetto Elena Ivaldi ci ha svelato la storia di come ha preso vita il progetto.

 

L'aspetto visivo del nuovo capannone sembra potere raccontare una storia molto particolare. Cosa si nasconde dietro le arcate dal design accattivante e colorato, o meglio dietro questa stravagante opere d'arte che richiama la simbiosi tra storia dell’azienda e i valori regionali?

Maria Pia Giovine, recentemente e prematuramente scomparsa e Simone Bosso, sono i protagonisti. Lei, la mia committente, imprenditrice “olivettiana”, lui, studente nel 2019, della classe IV del Liceo Artistico Gallizio di Alba.

Un giorno Pia mi disse che, tra le sue vulcaniche idea, vi era la creazione di un concorso per il ridisegno pittorico del “vecchio” capannone, che stavo ridisegnando, rivolto solo ai giovani studenti, perché potessero entrare a contatto con un “lavoro vero”, correttamente retribuito. Mi affascinò da subito, e mi stimolò a variare il mio progetto, implementandolo.

Andai con Pia e Marco, il marito ingegnere meccanico co-titolare, in aula per presentare il concorso. Insieme alla referente scolastica prof.ssa Laura Bonelli, l’intera classe venne ad effettuare il sopraluogo, dove videro dei resti archeologici del sito e capirono i principi e gli obiettivi del progetto, insieme ad una lezione generale su come sia un privilegio essere artisti in Italia e un obbligo per loro, dover tramandare questa forte identità, alle generazioni future. Durante i sei mesi successivi, i ragazzi si impegnarono coadiuvati da noi, nell’ideare ciascuno, un bozzetto per la realizzazione di due portali di circa 8 metri x 8, da installare sul fronte sud del capannone, lungo la Provinciale, a simbolo e riconoscimento, dell’identità aziendale: il Mollificio, settore agricolo e settore industria, conosciuta nel mondo come azienda italiana, radicata profondamente nel proprio territorio astigiano, azienda Benefit.

 

A livello di prestazione energetica, oltre all’isolamento termico sono stati realizzati altri interventi? (per es. impianti, fotovoltaico, riscaldamento biomassa, materiali…)

Purtroppo, a differenza del capannone 2017, in cui siamo riusciti a disgiungere termicamente gran parte delle strutture prefabbricate, grazie alla sinergia con il prefabbricatore locale, in questo efficientamento abbiamo operato con paletti esistenti più critici. Nonostante questo, abbiamo riprogettato il manto di copertura con un importante strato di lana di roccia, ignifuga sormontata da un impianto fotovoltaico che alimenta la produzione del calore, un nuovo impianto in pompa di calore, che serve il ciclo produttivo. Abbiamo sostituito totalmente i nastri finestrati, chiudendo quelli a ovest, già compromessi dagli impianti esterni e surriscaldati dall’orientamento. Abbiamo introdotto un sistema di schermatura esterna dei nastri a sud, gestiti da remoto e da sensori, per proteggere la produzione dal surriscaldamento estivo e sfruttare anche i guadagni solari gratuiti durante la stagione invernale.

L’ampliamento a nord, ingloba la tettoia esistente, inserendola nell’involucro riscaldato, coperto con una struttura a shed in modo che entri luce zenitale ed entri da nord, per evitare abbagliamenti e surriscaldamenti e nello stesso tempo, consentire gli arredi a magazzino, anche lungo le pareti perimetrali rese cieche.

Tutto il nuovo è stato certificato Rei 30, secondo il nuovo codice di Prevenzione incendi, per consentire il superamento dei 5000kg di carico d’incendio, al suo interno.

Abbiamo lavorato molto sul blocco uffici e residenza del custode, dove l’obiettivo della tenuta all’aria si poteva raggiungere e dove il comfort indoor a 20° è fattibile senza costi ingenti. Abbiamo implementato l’involucro con un sistema a cappotto RÖFIX in Eps da 160, visto che la massa era già costituita dai muri massivi esistenti. Serramenti con sistemi di schermature totalmente nuovi e incassati a scomparsa con cassonetti isolati e calibrati solo dove fossero stati utili, ossia non nei bagni di produzione e a nord, in cui i bonus edilizi non avrebbero permesso la detrazione.

L’analisi dell’impiego delle risorse è stata attenta e ha cercato di soddisfare le richieste della Committenza, che come potete notare, è realmente da definirsi “Illuminata”.

 

La I.E.F.I ha una esperienza trentennale negli interventi a cantine vinicole, così come anche nel settore industriale e dei lavori pubblici… anche nell’intervento presso il Mollificio Astigiano ci troviamo all’interno di un panorama agricolo (e vinicolo?) Avete anche una passione nel privato per questo ambito? È una tradizione di famiglia, un legame alla terra d’origine?

Mio bisnonno Felice si fece la carta intestata nel 1909 “Capomastro Felice” per la sua corrispondenza epistolare con il suo cliente, proprietario del Castello di Calamandrana, il quale affidò poi a mio nonno e a mio padre, il restauro e consolidamento, con la ricostruzione della Torre negli anni ’60.  Mio padre e mio zio, i fondatori della Impresa edile Fratelli Ivaldi, I.E.F.I. dapprima S.p.a. e poi S.r.l., furono da sempre ambiziosi in edilizia, senza mai rinunciare però, alla sperimentazione e alla onestà della qualità, << In un paese piccolo, Elena, non puoi mai fare brutta figura…>>, mi diceva mio padre Elio. Mi abituò, dopo la laurea, ad affrontare qualunque cantiere, dall’impianto di depurazione e fognatura di Nizza Monferrato al restauro del Santuario dei Caffi a Cassinasco, come ad intraprendere operazioni immobiliari a partire dall’acquisto del terreno, di cui era un abile acquirente.

Mio padre, insieme a zio Luciano, il “Geometra”, furono tra i primi imprenditori edili a investire in Liguria, acquistando i lasciti della Curia e trasformandoli in residenze di lusso vista mare. Come i maggiori costruttori di Cantine vinicole sociali nel Monferrato e Langhe, Castel Rocchero, Fontanile, Castel Boglione, ma anche la sede della grappa Bocchino, ecc.

Le tecnologie di vinificazione già allora, influenzarono le architetture delle cantine vinicole, si veda la cantina La Torre di Castel Rocchero, esattamente progettata come l’attuale splendida Cantina sociale di Bolzano, “a caduta”; i finanziamenti della comunità europea consentirono lo sviluppo di molte sedi, disseminate nel territorio, ancora oggi esistenti. Osservandole tecnicamente, si intuisce come esse furono figlie del loro tempo, in cui il costo dell’energia non fu mai un problema, una criticità da risolvere; strutture in cemento armato gettato in opera, alternato ai primi esempi di prefabbricazione degli anni 40-50-60, alcuni pregevoli, dal mio punto di vista, l’archeologia industriale direi…. ma energivori.

Oggi sono altrettanto convinta che occorra allontanarsi dai “capannoni monolitici” in pannelli sandwich, che illudono i clienti di abbassare i fabbisogni, specialmente se uniti a sterminati campi fotovoltaici sulle loro coperture, che alimentano quell’illusione di produrre energia pulita.

Occorre tornare ad una progettazione bioclimatica, come le cattedrali sotterranee di Canelli, Bosca, Contratto, Coppo e Gancia, 50° Patrimonio Unesco, capaci, da sempre, di conservare il vino con una climatizzazione totalmente più naturale, perché ipogea.

In un clima come il nostro, occorre sfruttare tutto ciò che il Know-how tecnico ci può offrire. L’approccio multidisciplinare di protocolli come il Climawine elaborato dall’Agenzia CasaClima di Bolzano, e la cantina sociale di Bolzano, citata prima, ne è uno splendido esempio, potrebbe essere lo strumento per dotare il mio splendido territorio, delle cantine vinicole 4.0 di cui necessita, per il suo ulteriore sviluppo.

La sinergia tra i progettisti e gli enologi locali, come con chi è esperto del ciclo produttivo di qualunque azienda, che necessiti di nuovi spazi, (come …. un mollificio, o un produttore di tappi), è determinante per sviluppare nuovi spazi produttivi, funzionali, efficaci, efficienti e integrati nel territorio, sia paesaggistico che sociale.

 

Concetti come “qualità e benessere” fanno di solito pensare all’ambito residenziale, alle case, alle abitazioni, al comfort casalingo. Perché è importate che qualità e benessere siano altrettanto importanti nella progettazione di ambienti produttivi, industriali e in generale di lavoro?

Ormai è noto che il 90% del tempo, l’individuo lo vive in ambienti chiusi, indoor. Le domande che dobbiamo porci, sono se, nella società di oggi, l’individuo è sempre tra i muri domestici, o se la “fatica” maggiore, fisica o intellettuale, la vive sul luogo di lavoro.... E ancora, se d’ estate, in cui l’esigenza della climatizzazione aumenta di anno in anno, non sia meglio lavorare in un ambiente confortevole, piuttosto che soffrire il   surriscaldamento indoor.

Si possono progettare ambienti confortevoli e passivi o quasi, diciamo Nearly zero energy building, anche ad uso produttivo e terziario, basta volerlo.

Certo che quando vedo edifici pluripiano di vetro in costruzione a Milano, qualche dubbio sulla volontà della committenza o del progettista, mi viene!

Conosceva già i nostri prodotti? Vuole raccontarci qualche aneddoto, quando ha conosciuto l’azienda, tramite chi, come si è trovata?

È splendido tornare su ricordi a cui sono legata. Correva l’anno 2004 e, durante un corso ANAB, Associazione Nazionale Architettura Bioarchitettura, conobbi RÖFIX come l’azienda leader nei sistemi a cappotto termico ed io allora, stavo progettando e costruendo casa mia: una ristrutturazione di una tipica cascina piemontese sulla collina di Canelli secondo i criteri della bioedilizia. Ero affascinata dai concetti che stavo studiando, di sistemi costruttivi naturali ed efficienti, produzioni del calore a biomassa, solaio in argilla senza reti elettrosaldate, per evitare campi elettromagnetici nocivi. Figuratevi mio fratello, co-titolare della I.E.F.I., ingegnere strutturista, quanto fosse scettico, comunque mi supportò in tutto, mediando i miei eccessi.

Scelsi il sistema a cappotto in sughero cotto e una finitura ad intonachino Sisi, che mi seguì anche nelle successive realizzazioni immobiliari.

Come il primo edificio plurifamiliare in bioedilizia e certificato CasaClima in Provincia di Asti e il secondo in tutto il Piemonte.

In quel edificio ricordo che dovetti rinunciare all’isolamento di canapa nel muro camera del piano terreno, per lo scetticismo di mio fratello, ma fummo entrambi certi del sistema a cappotto RÖFIX in sughero e finitura Sisi.

Gli interventi che facciamo da sempre, sulle nostre proprietà private, sono di sperimentazione, a volte avveniristica, per poi applicare l’esperienza acquisita “senza rischio”, a favore dei nostri clienti.

Per farlo però, occorre, preparazione, competenze e soprattutto avere a fianco dei partner qualificati. La selezione dei fornitori di materiali e sistemi costruttivi, per la I.E.F.I., è fondamentale; siamo una piccola realtà, ma che adora progettare e costruire edifici di qualità e sempre innovativi, attenti alle esigenze ambientali.

Consapevoli di operare nel settore più energivoro, siamo convinti da decenni, che la progettazione di involucri passivamente prestazionali e a tenuta all’aria, si possa fare grazie ai sistemi costruttivi oggi disponibili e accessibili.

Essa è la risposta più efficace alla diminuzione drastica delle emissioni di CO2, rispetto al mondo dell’impiantistica attiva, ancora troppo protagonista nella normativa e nella comunicazione mediatica italiana.